Le Sezioni Unite su compensatio lucri cum damno e indennità di accompagnamento
La quarta sentenza pronunciata dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, il 22 maggio 2018, in materia di compensato lucri cum damno, è la nr. 12.567. Essa concerne una vicenda di responsabilità professionale medica che ha avuto inizio nel 1999 allorquando due genitori agivano in giudizio, avanti al Tribunale di Mantova, per ottenere il risarcimento di tutti i danni, patrimoniali e non patrimoniali, subiti dal loro figliolo al momento della nascita (a causa di un taglio cesareo troppo ritardato) nonché per tutti i danni di natura non patrimoniale e patrimoniale patiti in proprio degli stessi genitori. A cagione di una serie di difficoltà insorte nel corso del parto, il neonato aveva patito una grave ipossia cerebrale e, per effetto della ritardata esecuzione del parto cesareo, era venuto alla luce affetto da gravissimi postumi permanenti sfociati in una tetraparesi.
La sentenza del Tribunale di Mantova (che aveva accolto le domande dei due genitori) venne successivamente impugnata avanti alla Corte d’Appello di Brescia e la sentenza pronunciata in secondo grado fu portata all’attenzione della Suprema Corte.
La Corte d’Appello aveva dato ragione ai genitori decidendo (con peculiare riferimento alla liquidazione del danno emergente) asserendo che tale voce doveva essere calcolata avendo riguardo non solo alla situazione in cui il minore si trovava al momento di incardinare il giudizio, ma anche a quella in cui egli si sarebbe trovato durante tutto il corso della sua successiva travagliata esistenza. Non c’era, infatti, alcuna valida ragione per pretendere che, dell’assistenza, si dovessero far carico i familiari. Inoltre, secondo i giudici di secondo grado – dall’importo liquidato – non dovevano essere detratti né l’indennità di accompagnamento né il valore delle prestazioni a domicilio erogate dal servizio pubblico. Ciò per la semplice ed elementare ragione che i genitori del minore avrebbero, comunque, dovuto far fronte anche ad altre spese per il vivere quotidiano in aggiunta a quelle di mera assistenza; e anche in considerazione del fatto che le prestazioni domiciliari erogate dagli enti pubblici erano limitate ad alcuni accessi settimanali. Non rispondevano, quindi, in toto al bisogno di poter disporre di una persona che assistesse, giorno e notte, il minore gravemente leso.
Le Sezioni Unite hanno affrontato un tema cruciale: se le prestazioni erogate dagli enti pubblici a favore del minore debbano essere, o meno, scomputate dal montante complessivo liquidato a titolo di ristoro per il danno patrimoniale emergente.
Ebbene, la risposta è stata affermativa, nel senso cioè di ritenere impegnata, anche nella fattispecie de quo, la categoria della compensatio lucri cum danno.
Il motivo per cui gli Ermellini sono pervenuti a questa conclusione è strettamente legato al criterio ermeneutico da essi selezionato anche con riferimento alle altre tre casistiche sulle quali si sono pronunciati (unitamente a quella di cui qui si discorre). Tale criterio può compendiarsi in una parola: “funzione”.
Il criterio finora usato, in materia, era quello del titolo fondativo delle differenti prestazioni di cui si trova occasionalmente a beneficiare il danneggiato: se il titolo è diverso, la compensazione non opera ed è legittimo il cumulo; se il titolo è identico, la compensazione opera e non trova giustificazione alcuna il cumulo. È proprio questo sistema che la Suprema Corte ha deciso di modificare con le storiche sentenze gemelle del 22 maggio 2018.
Per stabilire se una determinata erogazione patrimoniale, a favore della vittima di un infortunio, possa o meno cumularsi con la somma attribuita a titolo di risarcimento, bisogna guardare non tanto ai titoli in forza dei quali le due distinte liquidazioni sono corrisposte, ma piuttosto alla loro funzione. Infatti, è pressoché ovvio e scontato che i titoli costituenti la scaturigine delle due elargizioni potenzialmente sovrapponibili (provenienti da diversi soggetti in corrispondenza di un unico evento lesivo) sono tra loro distinti. Se il ‘titolo’ su cui esse si fondano fosse il criterio selettivo a disposizione dell’interprete – per decidere di volta in volta se dar corso alla compensazione ovvero se consentire il cumulo delle prestazioni – ne deriverebbe che l’istituto in oggetto non troverebbe mai applicazione; e ciò proprio perché i ‘titoli’ sono quasi sempre diversi tra loro.
Quanto va tenuto in debito conto, in questa situazione, non è già il titolo in virtù del quale la prestazione indennitaria viene erogata. Bisognerà guardare, piuttosto e invece, alla funzione di tale seconda erogazione patrimoniale liquidata da un soggetto diverso rispetto al responsabile del danno, ma pur sempre a beneficio della vittima. Se tale erogazione risponderà a una funzione di carattere compensativo, analoga a quella del risarcimento, allora dovrà trovare senz’altro applicazione la categoria della compensatio lucri cum damno. E il cumulo non sarà ammesso.
In caso contrario, invece, laddove la seconda erogazione risponda a una funzione differente da quella compensativa (tipica del risarcimento) il cumulo sarà possibile e non dovrà essere operato alcun diffalco tra le due prestazioni.
Calando tali principi al caso di specie, secondo le Sezioni Unite, è abbastanza semplice verificare come l’indennità di accompagnamento riconosciuta dalla legge 11 febbraio 1980 numero 18 (a favore di coloro che si trovino nella impossibilità di deambulare senza l’aiuto permanente di un accompagnatore e nella impossibilità, altresì, di compiere gli atti quotidiani della vita) abbia una natura solidaristica ed assistenziale; peraltro, essa ha anche, indubitabilmente, lo scopo di rimuovere le conseguenze negative prodottesi nel patrimonio del danneggiato per effetto dell’atto illecito altrui.
La indennità di accompagnamento mira, infatti, a far fronte e a compensare (in modo diretto e non mediato) lo stesso pregiudizio patrimoniale cagionato dall’illecito; per la precisione, il pregiudizio consistente nella necessità che la vittima ha di retribuire un collaboratore, o comunque un coadiuvante esterno, per tutte le future necessità della vita quotidiana.
La predetta finalità di carattere compensativo, cioè di rimozione delle conseguenze negative dell’illecito, fa sì che si debba senz’altro ritenere l’indennità di accompagnamento come connotata da una funzione compensativa. Ergo, essa deve essere defalcata dall’importo del danno patrimoniale emergente chiesto dei genitori del minore. Non è ammesso, quindi, cumulo.
Tuttavia, questa conclusione è possibile solo perché ricorre, nella fattispecie, anche il secondo requisito coessenziale che i giudici di legittimità esigono affinché possa operare la categoria della compensazione. Ci riferiamo a quel presupposto consistente nella previsione normativa di un sistema di surroga o rivalsa da parte dell’ente erogatore della prestazione assistenziale che viene ad affiancare quella risarcitoria. Se l’ordinamento non contemplasse un sistema di surrogazione o di rivalsa ne discenderebbero delle conseguenze necessariamente inique. Infatti, sarebbe possibile – per il responsabile – andare esente, in tutto o in parte, dall’obbligo di risarcire il danno ogniqualvolta il pregiudizio stesso fosse stato complessivamente, o parzialmente, ristorato dalle indennità patrimoniali (come quella di accompagnamento) prevedute dal legislatore. Il fatto che la legge contempli un sistema di surroga garantisce senz’altro dal rischio in questione.
Orbene, nello specifico caso affrontato dagli Ermellini, tale sistema di surrogazione/rivalsa è stato introdotto dalla legge del 4 novembre 2010 numero 183: essa dispone che le pensioni, gli assegni e le indennità spettanti agli invalidi civili (ai sensi della legislazione vigente) corrisposti in conseguenza del fatto illecito di terzi sono recuperati – fino a concorrenza dell’ammontare di dette prestazioni – dall’ente erogatore nei riguardi del responsabile civile e della di lui compagnia di assicurazione.
Una volta appurato che ricorrono entrambi i requisiti prescritti affinchè possa darsi corso all’istituto della compensazione, si potrà senz’altro giungere alle conclusioni che si leggono nella parte finale della sentenza in commento: ha errato la Corte di Brescia nel ritenere tout court cumulabile il beneficio assistenziale dell’indennità di accompagnamento (erogata dall’Inps) con l’intero ammontare del danno patrimoniale derivante dalla necessità di retribuire un collaboratore per fronteggiare i bisogni della vita quotidiana del bambino gravemente leso.
La Cassazione aggiunge, però, che lo scomputo è da intendersi limitato al solo valore capitale delle prestazioni di indennità corrisposte successivamente all’entrata in vigore della legge 183 del 2010. Se così non fosse, si incorrerebbe nelle conseguenze palesemente inique cui abbiamo accennato in precedenza. Prima della riforma del 2010, infatti, mancava quel fondamentale elemento ‘equilibratore’ del sistema costituito dalla surroga.
Avv. Francesco Carraro
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