Il rapporto Draghi sulla competitività sta facendo discutere com’è forse normale che sia, considerato il prestigio di cui gode il suo autore. E tuttavia, ci pare che la discussione sia eccessivamente incentrata sul contenuto del rapporto medesimo e non, invece, sul contesto all’interno del quale esso si inserisce. E quando scriviamo “contesto”, intendiamo il contesto storico ed economico, il contesto normativo e il contesto politico-psicologico-sociale.
C’è una “coda” della interminabile stagione pandemica che merita di essere affrontata e approfondita benché riguardi una questione apparentemente di nicchia, sotto il profilo giuridico. E tuttavia, essa non va passata sotto silenzio; non foss’altro perché riguarda coloro che, all’arrivo del Covid-19, furono celebrati come eroi.
Parliamo dei medici di base che si trovarono ad affrontare la prima ondata del morbo letteralmente a mani nude, in un contesto di penuria dei presidi di protezione e nell’assenza di un piano pandemico adeguatamente aggiornato. Ebbene, non pochi di quei sanitari persero la vita dopo aver contratto il Coronavirus. Molti di essi avevano in essere una polizza assicurativa (per morte da infortunio) che avrebbe potuto, o potrebbe ancora, “ristorare” i beneficiari designati (in genere, i parenti più prossimi) con l’indennizzo contrattualmente pattuito.
L’avvocato Francesco Carraro commenta il nuovo piano nazionale di prevenzione vaccinale 2023-2025 (PNPV). Con un’analisi accorta e approfondita, punto per punto, Carraro mostra tutte le contraddizioni del testo. Prima fra tutte il comportamento del governo Meloni, presentatosi inizialmente come forza di rottura, ma che ad oggi propone un simile documento, vicino alla linea politica tenuta dal precedente esecutivo. Per Carraro il piano vaccinale per i prossimi anni sembra infatti una lettera d’amore alle multinazionali del farmaco, nient’alto che propaganda. Un piano che vuole separare genitori e figli, silenziare il dubbio e cacciare i dissidenti.
Il video commenta l’ordinanza di cassazione nr. 41933 del 29 dicembre 2021, con la quale gli Ermellini individuano (e provano ad emendare) le criticità del metodo di calcolo del c.d. danno da invalidità permanente “definito da premorienza” (o danno “intermittente”) così come configurato dalle tabelle milanesi.
Commento a una recente pronuncia in cui viene chiarito come – ai casi di infortunio avvenuto a causa di una insidia stradale – vadano applicate (in sede di quantificazione del danno biologico) le tabelle milanesi e non le tabelle di legge.
La donna aveva riportato la frattura scomposta di un braccio
AMARO. Dalla gita cicloturistica in Friuli era rientrata con una frattura scomposta del
braccio sinistro. L’incidente era avvenuto mentre, assieme al resto della compagnia
partita con lei dalla provincia di Padova, stava percorrendo un tratto di strada nel
Comune di Amaro. E visto che la colpa del suo volo a terra è stata attribuita a una radice
d’albero presente lungo il percorso, ora, a pagarle i danni sarà proprio l’amministrazione
comunale. Per un importo totale che, al netto degli interessi, ma calcolate anche le spese
legali e di giudizio, il tribunale civile di Udine ha indicato in quasi 42 mila euro.
La sentenza è stata emessa dal giudice onorario Fabrizio Carducci, al termine della causa
promossa dalla donna, una 71enne veneta, che il 9 luglio del 2017 si era unita alla trasferta
organizzata dalla parrocchia di Vigorovea, frazione di Piove di Sacco. Con lei, un gruppo
di circa 150 ciclisti. Compresi quelli che, nel procedimento, hanno testimoniato non
2/2
soltanto di averla vista «sobbalzare, perdere l’equilibrio e cadere», ma anche quali fossero
le condizioni della strada, «priva di segnali per terra che potessero far pensare a un
doppio senso di marcia».
Assistita dall’avvocato Francesco Carraro, del foro di Padova, l’anziana si è vista
riconoscere una somma pari a 10.048 euro a titolo di invalidità temporanea, dopo avere
trascorso 19 giorni con un’invalidità assoluta, 55 al 75 per cento, 70 al 50 per cento e 25 al
25 per cento, e altri 20 mila euro, a titolo di invalidità permanente, che il ctu, medico
legale Antonia Fanzutto, ha quantificato al 10 per cento. Per un totale di oltre 30 mila
euro.
Trasportata nel vicino ospedale di Tolmezzo, dove fu accertata una frattura scomposta
dell’olecrano sinistro, la paziente era stata successivamente sottoposta a due interventi
chirurgici. Costituitosi in giudizio con l’avvocato Laura Candusso, il Comune di Amaro
aveva dapprima eccepito il difetto di legittimazione, sostenendo che l’incidente fosse
avvenuto a Campiolo e, quindi, sul territorio di Moggio Udinese, e aveva inoltre
contestato la dinamica, sostenendo l’insussistenza di responsabilità in capo
all’amministrazione e addebitandola semmai alla ciclista, avendo marciato contromano e
senza l’attenzione e la cautela richieste su una strada bianca in zona montuosa.
Tenuto conto della documentazione e delle testimonianze raccolte, il giudice ha ritenuto
invece fondata la domanda dell’anziana, che aveva indicato nell’avvallamento dell’asfalto,
dovuto appunto alla radice d’albero sottostante, la causa del ribaltamento della bici.
Si era infettato durante l’intervento chirurgico e pertanto ora ha diritto ad un risarcimento. Dodici anni dopo l’operazione la Corte d’Appello di Venezia – quarta sezione civile, presieduta da Campagnolo – ha condannato la casa di cura Villa Berica a versare 224 mila euro, oltre a spese ed interessi, ad un pensionato (assistito dall’Avvocato Francesco Carraro di Padova) che venne operato nel febbraio 2010. La protesi che gli era stata impiantata al ginocchio era infettata, e pertanto venne rimossa. Ma il batterio, uno stafilococco, causò seri danni al paziente. Lui e la sua famiglia chiedevano un risarcimento complessivo dei danni pari a 1,8 milioni di euro.
Il video si sofferma sulla sentenza nr. 24.495 del 21.06.21, della Cassazione penale, in materia di plurime condotte colpose di sanitari nella realizzazione di un evento di malpractice.