I Comuni rispondono anche della manutenzione delle banchine laterali
Con sentenza n. 260 del 10.01.2017 la III Sezione della Corte di Cassazione è intervenuta sul tema della responsabilità dei Comuni per le cosiddette insidie stradali. Nel caso in questione, l’aspetto interessante della pronuncia non attiene tanto ai contorni giuridici entro i quali la Corte ha ritenuto di sussumere la fattispecie concreta in esame, quanto piuttosto ai profili del fatto storico.
Altrimenti detto, i giudici hanno inquadrato la vicenda sottoposta alla loro attenzione in un ‘solco’ interpretativo già tracciato da tempo. Ci riferiamo alla pacifica applicabilità dell’articolo 2051 c.c. ai Comuni: anche sulle pubbliche amministrazioni grava la presunzione di responsabilità di cui alla prefata norma, almeno fino a quando esse non dimostrino che il danno al terzo si è ingenerato per un caso fortuito.
Nulla di nuovo sotto il sole, verrebbe da dire, quantomeno se stiamo all’orientamento ormai consolidatosi – sia in sede di merito che di legittimità – nell’ultimo lustro. L’elemento innovativo del verdetto, invece, è costituito dalle modalità con cui era avvenuto il sinistro: un autocarro, percorrendo una strada provinciale, si era ribaltato nel momento in cui la sua ruota anteriore destra era slittata al di fuori della piattaforma stradale “per colpa” di un considerevole dislivello tra la carreggiata e l’attigua banchina sterrata occultata da un folta vegetazione.
La Corte d’Appello aveva rigettato la domanda del danneggiato sulla base dell’assunto che l’evento si era verificato a cagione della sconsiderata manovra del conducente attoreo il quale, nell’incrociare un veicolo proveniente dal senso opposto, era fuoriuscito dalla linea bianca di margine della corsia sconfinando così nella banchina.
Di più: il giudice di secondo grado aveva anche sentenziato che non può considerarsi alla stregua di una insidia l’assenza di banchine laterali non potendo addebitarsi un contegno connotato da negligenza alla P.A. che ometta la manutenzione dei cigli erbosi.
La Cassazione ha ribaltato l’esito del giudizio di secondo grado sulla base di alcune considerazioni ineccepibili che possono così riassumersi: 1) la custodia cui è tenuto l’ente titolare del bene – ai sensi e per gli effetti dell’articolo 2051 c.c. – non si limita alla sola carreggiata, ma si estende anche alle sue pertinenze, come, per l’appunto, la banchina; 2) per ovvia conseguenza, ne discende che l’obbligo degli enti pubblici di manutenere le aree destinate alla circolazione concerne pure le zone limitrofe a quella asfaltata; 3) lo “scalino” esistente tra la piattaforma asfaltata e la banchina era, nella fattispecie de quo, occultato da vegetazione il che rendeva “infido” l’ostacolo consentendo di annoverarlo in quella categoria di creazione giurisprudenziale (le “insidie”, appunto) idonea a far scattare nei confronti della struttura convenuta non solo le previsioni di cui all’articolo 2051 ma anche quelle di cui alla generica responsabilità aquiliana di cui all’articolo 2043 cc; 4) infine, la Corte ha evidenziato che “le scarpate delle strade statali, provinciali e comunali al pari dei fossi e delle banchine ad esse latistanti, devono considerarsi parti delle strade medesime e perciò soggette allo stesso loro regime di demanialità, in forza della presunzione iuris tantum posta dalla L. 20 marzo 1865 , n. 2248, art. 22”.
Quest’ultimo elemento è decisivo. L’ente proprietario di una strada ha l’obbligo di provvedere alla relativa manutenzione nonché di prevenire e, se del caso, segnalare ogni situazione di pericolo o di insidia inerente non solo alla sede stradale ma anche alla zona non asfaltata sussistente ai limiti della medesima (“banchina”), tenuto conto che essa fa parte della struttura della strada, e che la relativa utilizzabilità, anche per sole manovre saltuarie di breve durata, comporta esigenze di sicurezza e prevenzione analoghe a quelle che valgono per la carreggiata (Cassazione civile, sez. III, 04/10/2013, n. 22755).
Infatti, è stato detto, la banchina laterale delle strade extraurbane “pur essendo normalmente destinata ai pedoni, è, in caso di necessità, utilizzabile dai veicoli per manovre di breve durata o di emergenza (quando il veicolo o il ciclomotore, ad esempio, è costretto ad occuparla per consentire il sorpasso di veicoli procedenti nella stessa direzione o la facilitazione dell’incrocio di mezzi derivanti dal senso opposto – come nel caso di specie, n.d.r.), con la conseguenza che si pongono per la stessa le medesime esigenze di sicurezza e di prevenzione valevoli per la carreggiata, che non deve presentare per l’utente insidie o trabocchetti, pena l’imputabilità all’Ente pubblico proprietario dei danni che ne derivano” (Cassazione civile, sez. III, 18/07/2008, n. 19941; Cassazione civile, sez. III, 19/07/2002, n. 10577).
Insomma, la decisione in commento – sulla scia di altri precedenti arresti – non fa altro che consolidare un “allargamento” della sfera di influenza, e quindi di responsabilità, degli enti pubblici sulla rete viaria dei rispettivi territori. Contestualmente, ciò implica e involge anche una maggiore e accresciuta tutela dei cittadini utenti della strada.
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