Il danno terminale della vittima primaria e i diritti degli eredi
In materia di danno non patrimoniale da morte direttamente patito dalla vittima primaria e il cui risarcimento spetta agli eredi del defunto iure ereditario, è stato ribadito dalla uniforme giurisprudenza, prima degli interventi nomofilattici del 11.11.08, che: “in tema di risarcibilità del danno biologico, nel caso in cui intercorra un apprezzabile lasso di tempo tra le lesioni subite dalla vittima del danno e la morte causata dalle stesse, è configurabile un danno biologico risarcibile subito dal danneggiato, e il risarcimento è trasmissibile agli eredi, che potranno agire in giudizio nei confronti del danneggiato iure hereditario” (Cass. 14508/04; cfr. Cass. 1633/00, Cass. 4783/02, Cass. 3728/02, Cass. 9620/03, Cass. 4754/04; Cass. Sez Lavoro 517/2006). Tale linea è stata successivamente precisata e calibrata anche dalle sentenze delle S.U. del 11.11.08 alla luce della rilettura del quadro complessivo del danno non patrimoniale: “il giudice potrà invece correttamente riconoscere e liquidare il solo danno morale, a ristoro della sofferenza psichica provata dalla vittima di lesioni fisiche, alle quali sia seguita dopo breve tempo la morte, che sia rimasta lucida durante l’agonia in consapevole attesa della fine” e, ancora: “una sofferenza psichica siffatta, di massima entità anche se di durata contenuta, non essendo suscettibile, in ragione del limitato intervallo di tempo tra lesioni e morte, di degenerare in patologia e dare luogo a danno biologico, va risarcita come danno morale nella sua nuova più ampia accezione” (Cass. S.U. 26972/08). A proposito della liquidazione del cosiddetto danno terminale, la Cassazione ha in pratica bandito qualsivoglia criterio liquidativo automatico, per cui non si potrà comunque attribuire al defunto un danno di natura esclusivamente temporanea quantificato secondo le tabelle previste per questo tipo di invalidità.
In proposito, la giurisprudenza ha sottolineato: “il danno biologico terminale, ovvero il danno subito dal de cuius nell’intervallo di tempo tra la lesione del bene salute e il sopraggiungere della morte conseguente a tale lesione rientra nel danno da inabilità temporanea, la cui quantificazione equitativa va operata però tenendo conto delle caratteristiche peculiari di questo pregiudizio, consistenti nel fatto che si tratta di un danno alla salute che, sebbene temporaneo, è massimo nella sua entità ed intensività, sia che si applichi il criterio di liquidazione ‘puro’ sia che si applichi il criterio di liquidazione tabellare a punto, in quanto entrambi questi criteri di liquidazione sono legittimamente utilizzabili, purchè vengano dal giudice adeguatamente ‘personalizzati’ ovvero adeguati al caso concreto. Limitare la liquidazione del danno biologico terminale alla mera applicazione di valori liquidativi tabellari a punti per ogni giorno di invalidità comporta la violazione del principio di necessaria personalizzazione di detti criteri rispetto alla peculiarità del caso concreto” (Cass. 7632/2003).
Le considerazioni svolte varranno, evidentemente, anche per il danno morale patito dal de cuius nel lasso di tempo tra intervento chirurgico e morte: “il danno non patrimoniale, quale sofferenza patita dalla sfera morale del soggetto leso, deve considerarsi verificato nel momento stesso in cui l’evento dannoso si realizza (o, nel caso di diffamazione, nel momento in cui la parte lesa ne viene a conoscenza), pur dovendosi tener conto della natura istantanea o permanente dell’illecito, o della sua reiterazione. Ne consegue che la liquidazione del danno deve effettuarsi con riferimento al momento dell’evento dannoso e alle caratteristiche indicate, mentre non incidono su di essa fatti e avvenimenti successivi, quale la morte del soggetto leso” (Cass. 10980/01; conforme Cass. 2491/93 e 4733/01).
In una fattispecie di tal fatta la cui peculiarità consiste nel fatto che la lesione alla salute non solo è stata massima, ma anche così intensa da dar luogo alla morte” si ritiene opportuno rifarsi a un significativo precedente delle corti venete. Ci riferiamo al caso trattato in Cass. 7632/03: nella fattispecie per un ragazzo di 17 anni morto dopo dieci giorni di agonia il Tribunale di Vicenza riconobbe 630.000 lire – 63.000 lire al giorno. La Corte d’Appello di Venezia riformò la pronuncia di primo grado e riconobbe 62.500.000 lire – 6.250.000 lire/3.150,00 € circa al giorno – oltre a trenta milioni di lire per il danno morale. La Suprema Corte ha confermato la decisione di secondo grado” (conforme Cass. 25124/06; Cass. 3549/04, Cass. 3766/05).
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