Il punto sul risarcimento per trasfusioni di sangue infetto
Una sentenza della Corte d’Appello di Catania del 17.01.17 ci dà l’opportunità di tracciare un quadro riassuntivo dello stato della giurisprudenza nazionale in materia di responsabilità medica per trasfusione di sangue infetto. La fattispecie affrontata dai giudici siciliani concerneva un paziente emotrasfuso in seguito a un intervento chirurgico avvenuto nell’anno 1967 che lo aveva condotto a contrarre la cirrosi epatica e a morire per shock settico nel 2007.
La Corte d’Appello ha rammentato il quadro delle conoscenze scientifiche in materia di virus contraibile e trasmissibile per via ematica riconducibili alle categorie dell’HIV (responsabile dell’AIDS) dell’HBC (responsabile dell’epatite B) e dell’HCV (responsabile dell’epatite C). Ebbene, l’ordine cronologico di scoperta/individuazione di tali fattori virali è il seguente: 1978 per HBC, 1985 per HIV e 1988 per l’HCV.
In un primo momento, la giurisprudenza di legittimità aveva ritenuto di poter considerare integrata la responsabilità aquiliana del Ministero della Salute soltanto per quei casi in cui l’infezione virale era intervenuta, rispettivamente, dopo il 1978 per quanto riguarda l’epatite C, dopo 1985 per quanto riguarda l’HIV e dopo il 1988 per quanto riguarda l’HCV. Il ragionamento sotteso era facilmente comprensibile: non aveva, infatti, senso imputare un qualsivoglia profilo di colpa alla P.A. per la contrazione di una patologia il cui virus non fosse noto alla comunità scientifica nel periodo storico in cui lo sventurato paziente si fosse trovato a contrarlo.
Tuttavia, le Sezioni Unite sono successivamente intervenute a capovolgere questo indirizzo rifacendosi alle tesi maggioritarie della dottrina e della più avveduta giurisprudenza di merito secondo le quali non può, a rigore, parlarsi di tre eventi lesivi “come se si trattasse di tre serie causali autonome e indipendenti”. Infatti, secondo il decisivo arresto giurisprudenziale delle S.U. vi è un unico evento lesivo costituito dalla lesione della integrità fisica e, per la precisione, del fegato onde per cui “unico è il nesso causale: trasfusione con sangue infetto–contagio infettivo–lesione dell’integrità”.
In altri termini, secondo l’attuale orientamento (patrocinato dai vertici del Palazzaccio) già a partire dalla data di conoscenza dell’epatite B (1978) sussiste la responsabilità del Ministero anche per il contagio degli altri due virus “che non costituiscono eventi autonomi diversi, ma solo forme di manifestazione patogene dello stesso evento lesivo della integrità fisica da virus veicolati dal sangue infetto che il Ministero non aveva controllato come pure era obbligato per legge”.
Possiamo quindi affermare, a mo’ di sintesi dei concetti testé richiamati, che i giudici di merito sono chiamati – in casi consimili – a verificare la sussistenza di un accertamento del nesso causale tra il contegno omissivo del Ministero e l’insorgere della malattia. Laddove sia verificato l’omesso controllo, la responsabilità sussisterà anche per l’insorgenza di malattie il cui virus non fosse stato ancora ‘isolato’.
I giudici di secondo grado di Catania hanno, a tal proposito, ripercorso le fonti normative su cui si fonda il dovere delle pubbliche autorità di vigilare e controllare la sicurezza delle trasfusioni onde prevenire la diffusione di malattie infettive pericolose per la salute (e financo letali): legge 592/1967, D.P.R. 1256/1971, legge 519/1973, legge 833/1978 istitutiva del S.S.N., decreto legge 443/1987, legge 107/1990, e legge 317/2001. Oltre, ovviamente, alla notissima legge 210/1992 che ha istituito il diritto dei soggetti vittime di trasfusioni da sangue infetto veicolante agenti patogeni di ottenere un equo indennizzo da parte dello Stato.
La sentenza in commento rende opportuna qualche altra precisazione su problematiche generalmente connesse al tema di cui trattasi.
La prima concerne la prescrizione e la sua decorrenza: si applica, ai casi di infezioni virali, la categoria della responsabilità extracontrattuale in capo al Ministero della Salute e, quindi, la prescrizione sarà quinquennale. Essa, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza, decorrerà non già dal momento in cui il paziente subisce la trasfusione e neppure dal momento in cui la malattia si palesa in maniera evidente, bensì da quando il soggetto leso abbia la piena contezza della riconducibilità della patologia al comportamento doloso o colposo di un terzo. In genere, questo istante coincide con quello in cui la vittima viene a conoscenza dell’esito dell’esame presso la competente Commissione Medica istituita ex lege 210/92 al fine di valutare la ricorrenza dei requisiti per beneficiare dell’indennizzo.
A questo punto, un dubbio che insorge in capo alle vittime è se le stesse possano o meno cumulare il diritto alla percezione dell’indennizzo previsto dalla legge 210 con il diritto a conseguire il risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale patito per effetto del medesimo occorso lesivo. La risposta è senz’altro affermativa alla luce della pronuncia della Corte di Cassazione n. 584/2008 che ha avuto modo di sottolineare come il risarcimento abbia una “natura diversa rispetto alla attribuzione indennitaria regolata dalla L. 210 del 1992”. Di talché, agli aventi diritto all’indennizzo non sarà preclusa la possibilità di agire giudizialmente anche per ottenere il risarcimento integrale del danno subito.
Clicca qui per scaricare l’articolo in formato stampabile PDF
Torna Indietro