L’onere della prova nella malpractice medica
La vittima di un caso di malasanità non è obbligato a dimostrare la colpa dei sanitari in conformità dell’inversione dell’onus probandi tipica della responsabilità contrattuale, giusta quanto disposto dall’art. 1218 c.c. Anche una recentissima pronuncia degli ermellini conferma il consolidato orientamento giurisprudenziale: “in tema di responsabilità contrattuale del medico nei confronti del paziente per danni derivanti dall’esercizio di attività di carattere sanitario, il paziente ha il solo onere di dedurre qualificate inadempienze, in tesi idonee a porsi come causa o concausa del danno, restando poi a carico del debitore convenuto l’onere di dimostrare o che nessun rimprovero di scarsa diligenza o di imperizia possa essergli mosso, o che, pur essendovi stato un suo inesatto adempimento, questo non abbia avuto alcuna incidenza causale sulla produzione del danno” (Cass.civi., sent. n. 2185 del 31 gennaio 2014). Sono, dunque, i sanitari a dover dimostrare l’assenza di colpa. Si legge nella recente pronuncia del Tribunale di Desio, sent. n. 378/12, che riassume l’orientamento giurisprudenziale maggioritario: “come noto, infatti secondo un consolidato orientamento”tra il paziente ed il medico dipendente si instaura un contatto sociale, il cui inadempimento è sottoposto al regime di cui all’art. 1218 c.c.” (Cass. civ., S.U., 11.01.08, n. 577). In ossequio, pertanto, alle norme che disciplinano l’inadempimento contrattuale, si verifica nel caso di specie un’inversione dell’onere della prova a carico dell’azienda ospedaliera convenuta alla luce del disposto di cui all’art. 1218 c.c. per cui al paziente spetta di allegare l’inesattezza dell’inadempimento, ma non certo la colpa”.
In particolare: “In tema di responsabilità contrattuale del medico nei confronti del paziente per danni derivanti dall’esercizio di attività di carattere sanitario, il paziente ha il solo onere di dedurre qualificate inadempienze, in tesi idonee a porsi come causa o concausa del danno, restando poi a carico del debitore convenuto l’onere di dimostrare o che nessun rimprovero di scarsa diligenza o di imperizia possa essergli mosso, o che, pur essendovi stato un suo inesatto adempimento, questo non abbia avuto alcuna incidenza causale sulla produzione del danno (Cass. civ., Sez. III, sent. n. 15993 del 21.07.11). E ancora nello specifico: “In tema di responsabilità civile nell’attività medico-chirurgica, ove sia dedotta una responsabilità della struttura sanitaria e/o del medico per l’inesatto adempimento della prestazione sanitaria, il danneggiato deve fornire la prova del contratto (o del ‘contatto’) e dell’aggravamento della situazione patologica (o dell’insorgenza di nuove patologie per effetto dell’intervento) e del relativo nesso di causalità con l’azione o l’omissione dei sanitari, restando a carico dell’obbligato – sia esso il sanitario o la struttura – la prova che la prestazione professionale sia stata eseguita in modo diligente e che quegli esiti siano stati determinati da un evento imprevisto e imprevedibile; tuttavia, l’insuccesso o il parziale successo di un intervento di routine, o, comunque, con alte probabilità di esito favorevole, implica di per sé la prova del nesso di causalità, giacché tale nesso, in ambito civilistico, consiste anche nella relazione probabilistica concreta tra comportamento ed evento dannoso, secondo il criterio, regola della del “più probabile che non”. Spetta dunque ai sanitari dimostrare che l’inadempimento è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a loro non imputabile e quindi, in buona sostanza, la loro assenza di colpa. La responsabilità dei sanitari andrà, dunque, valutata con riferimento alla diligenza professionale di cui all’art. 1176, comma 2, c.c. (cfr. anche Trib. Milano, 22.04.09 n. 5322; cfr. anche Cass.civ. n. 10741/09; Cass.civ. n. 10285/09).
Ergo, una volta provato il contratto e il danno, è il sanitario a dover dimostrare che l’esito infausto è stato cagionato da un evento fortuito e imprevedibile.
Come insegna la giurisprudenza di merito e di legittimità, compete al debitore, dimostrare che la prestazione professionale sia stata eseguita in modo diligente e che quegli esiti peggiorativi siano stati determinati da un evento imprevisto ed imprevedibile (Cfr. Cass.civ. n. 10297/04; Cass.civ. n. 3492/02; Cass.civ. n. 6220/88; Cass.civ. n. 6141/78).
Anche con altre pronunce la giurisprudenza di legittimità ha costantemente e chiaramente affermato che il creditore che agisca in giudizio per l’inesatto adempimento del debitore deve solo fornire la prova della fonte negoziale o legale del suo diritto (ed eventualmente del termine di scadenza), limitandosi ad allegare l’inesattezza dell’adempimento costituita dalla violazione dei doveri accessori, dalla mancata osservanza dell’obbligo di diligenza o dalle difformità qualitative o quantitative dei beni, posto che incombe sul debitore convenuto l’onere di dimostrare l’avvenuto esatto adempimento dell’obbligazione (Cass. civ., S.U. n. 13533/01; cass. civ. n. 3520/05; Cass.civ. n. 7997/05).
Porre a carico del sanitario o dell’ente ospedaliero la prova dell’esatto adempimento della prestazione medica soddisfa in pieno a quella linea evolutiva della giurisprudenza in tema di onere della prova che va accentuando il principio della vicinanza della prova, inteso come apprezzamento dell’effettiva possibilità per l’una o per l’altra parte di offrirla” (Cass.civ. n. 10297/04).
Orbene, qualora la struttura sanitaria non fornisca la prova della sussistenza di un evento straordinario e imprevedibile atto a giustificare il danno, la sua responsabilità è inconfutabile: “in tema di onere della prova nelle controversie di responsabilità professionale, questa Corte ha più volte enunciato il principio secondo cui quando l’intervento da cui è derivato il danno non è di difficile esecuzione, la dimostrazione da parte del paziente dell’aggravamento della sua situazione patologica o l’insorgenza di nuove patologie è idonea a fondare una presunzione semplice in ordine all’inadeguata o negligente prestazione” (cfr. Cass.civ. n. 3492/02; Trib. Milano, 01.04.05, n. 3670).
Perciò, nel caso in cui l’attore alleghi l’inesatto adempimento da parte del professionista tenuto alla prestazione sanitaria il medico e la struttura sono conseguentemente tenuti a dare la prova che il risultato “anomalo” o anormale rispetto al convenuto esito dell’intervento o della cura, e quindi dello scostamento da una legge di regolarità causale fondata sull’esperienza, dipende da fatto a sè non imputabile, in quanto non ascrivibile alla condotta mantenuta in conformità alla diligenza dovuta, in relazione alle specifiche circostanze del caso concreto” (Cass.civ. n. 8826/07).
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