Mala gestio dell’assicurazione e sua condanna ultra massimale
Un’ordinanza della Corte di Cassazione del 26.04.17, la n. 10221, è tornata sulla questione della cosiddetta mala gestio dell’assicuratore in sede di trattativa.
Il citato arresto giurisprudenziale ci consente di fare un punto sulla situazione, non rara a verificarsi, in cui una compagnia ritardi l’erogazione del risarcimento o, comunque, mal gestisca la fase stragiudiziale di una contesa, cagionando così un danno al proprio assicurato.
Com’è noto, l’art. 1917 del c.c. grava l’assicuratore dell’obbligo di tenere indenne il proprio contraente assicurato da tutte le conseguenze pregiudizievoli che al medesimo dovessero derivare da fatti illeciti posti in essere nei confronti di terzi. L’obbligo dell’assicuratore scatta, ai sensi e per gli effetti dell’art. 1176 c. 2 c.c., nel momento in cui la società di assicurazione abbia notizia – dal proprio assicurato o direttamente dal terzo danneggiato – del verificarsi dell’evento.
Ebbene, nel caso in cui l’attivazione delle dovute ‘coperture’, e delle attività alle medesime connesse, non fosse tempestiva, l’assicurato potrebbe patirne un detrimento nella misura in cui i pregiudizi dal medesimo arrecati al terzo finissero per eccedere i limiti del cosiddetto massimale.
In fattispecie consimili, bisogna – secondo l’insegnamento della giurisprudenza di merito e di legittimità – distinguere tra due ipotesi: la prima è quella in cui il massimale di polizza, pur capiente al momento dell’illecito, diventi insufficiente con il passare del tempo per qualsiasi motivo (deprezzamento della moneta, mutamento dei criteri tabellari di entificazione delle lesioni, etc.). È evidente che – laddove ciò accada per colpa del negligente temporeggiamento della compagnia – il contraente assicurato potrà ben esigere che l’assicuratore si faccia carico di ogni e qualsivoglia somma risarcitoria eccedente il massimale stesso. Infatti, se quest’ultimo si è rivelato incapiente, è solo per la censurabile inerzia dell’impresa.
La seconda ipotesi si verifica, invece, qualora il massimale sia incapiente già al momento dell’illecito. In questo caso, la compagnia sarà tenuta – per la sua inadempienza contrattuale – a rispondere non di tutte le somme eccedenti il massimale, ma solo di quelle che l’assicurato dovesse trovarsi malauguratamente a pagare a titolo di interessi legali ovvero di maggior danno ex art. 1224, c. 2 c.c.
Quanto all’aspetto realmente peculiare della pronuncia in commento, esso consiste nel fatto che, secondo gli Ermellini, la manleva da parte dell’assicurazione è dovuta anche se l’assicurato non ha provato di aver corrisposto al terzo danneggiato alcuna somma. E ciò per un semplice quanto incontestabile motivo: il debitore (nel nostro caso, la compagnia di assicurazione) può sempre chiedere che – in denegata ipotesi di condanna – la sentenza sia condizionata al “verificarsi di un determinato evento futuro o incerto, alla scadenza di un termine prestabilito o ad una controprestazione specifica, quale appunto l’avvenuto pagamento di una somma di denaro da parte dell’assicurato (sent. 16135 del 09.07.09)”.
Pertanto, laddove ciò non sia accaduto per inerzia della convenuta o per dimenticanza del giudice, non potrà comunque farne le spese il danneggiato che avrà diritto, in ogni caso, al ristoro della patita mala gestio.
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