I punti cardinali della Cassazione in materia di consenso informato
La sentenza della Corte di Cassazione nr. 7248 del 23.03.18 è una vera e propria bussola orientativa in materia di ‘consenso informato’. In tale arresto, infatti, sono enucleati, con ammirevole chiarezza espositiva, i plessi concettuali costituenti il fondamento della risarcibilità del danno a favore del paziente non adeguatamente ‘informato’ dai sanitari sulle prospettive di un intervento e delle successive cure.
Innanzitutto, la Cassazione precisa che la violazione del dovere di informare in maniera adeguata il paziente può comportare, come conseguenza, due distinti tipi di danno: 1) il classico danno alla salute sussistente quando è ragionevole ritenere che il paziente avrebbe evitato di sottoporsi all’intervento (e di subirne le conseguenze invalidanti) laddove fosse stato correttamente informato; 2) la cosiddetta lesione del diritto all’autodeterminazione sussistente quando, proprio a cagione del deficit informativo, la vittima abbia patito un pregiudizio di natura patrimoniale oppure non patrimoniale.
Il diritto alla corretta e compiuta informazione ha, poi, le seguenti caratteristiche: al paziente va garantito il diritto di scegliere tra le diverse opzioni di trattamento medico sul tappeto; Il paziente deve conservare la facoltà di acquisire, ove ritenuto necessario, anche pareri di altri sanitari; Il paziente deve potersi rivolgersi a terzi soggetti o a terza strutture le quali siano in grado, per esempio, di offrire più adeguate garanzie rispetto al conseguimento del risultato sperato, anche in termini percentuali (e pure con riguardo alle conseguenze post-operatorie); Il paziente deve sempre poter ricusare l’intervento prescelto ovvero la terapia proposta e accettata oppure decidere con consapevolezza il momento in cui interromperli; infine, il paziente deve essere messo in grado di affrontare con consapevolezza le conseguenze dell’intervento, soprattutto quando queste si rivelino – o siano destinate rivelarsi – particolarmente gravose sul piano psico-fisico nel periodo successivo all’intervento (corrispondente, in genere, con la fase della riabilitazione post-operatoria): in special modo, quando tali sofferenze siano prevedibili per la classe medica, ma del tutto inattese – proprio in virtù della omessa informazione – per il paziente.
In definitiva, con riferimento al tema del consenso informato possono delinearsi quattro diverse situazioni compendiabili come segue.
In primo luogo, ci può essere omessa o insufficiente informazione rispetto a un intervento che ha causato un danno alla salute (con una condotta colposa del medico) e rispetto al quale si accerti che il paziente vi si sarebbe comunque sottoposto anche se fosse stato esaurientemente informato. In tal caso, il risarcimento potrà riguardare solo il danno biologico, morale e relazionale.
La seconda ipotesi riguarda, invece, il caso in cui vi sia stata una omessa o insufficiente informazione, ma l’intervento (che ha causato il danno alla salute con condotta colposa del medico) non sarebbe stato eseguito o, meglio, il paziente non avrebbe dato il proprio placet alla sua esecuzione se avesse ricevuto le informazioni dovute; in questa circostanza, il risarcimento non riguarderà solo il danno alla salute, la sofferenza morale e il pregiudizio esistenziale, ma anche quel danno peculiare che attiene proprio all’omesso consenso informato, altrimenti noto come ‘danno da lesione del diritto all’autodeterminazione’.
La terza fattispecie è quella in cui ci sia stata un una inadeguata informazione rispetto a un intervento che ha causato un danno alla salute, ma senza condotta colposa del medico. Nell’ipotesi in cui il paziente non si sarebbe sottoposto a questo intervento, il risarcimento dovrà essere liquidato con riferimento alla violazione del diritto all’autodeterminazione in via meramente equitativa mentre la lesione della salute andrà comunque messa in relazione causale con la condotta del sanitario (benché quest’ultima non sia colposa) perché – in presenza di adeguate informazioni – l’intervento non sarebbe stato eseguito. Tale vulnus andrà valutato rapportando la situazione precedente all’intervento con quella successiva ad esso operando, quindi, una comparazione di carattere ‘differenziale’ tra lo stato di salute del paziente prima e dopo l’intervento.
Infine, l’ultimo caso concerne l’omessa informazione rispetto a un intervento che non ha causato un danno alla salute e che, per di più, sia stato correttamente eseguito. Potrà configurarsi, allora, un risarcimento del danno per la lesione del diritto all’autodeterminazione solo se il paziente si sia trovato a dover sopportare delle conseguenze dolorose nel post-operatorio del tutto inattese che non gli erano state prospettate impedendogli conseguentemente di porsi in uno stato d’animo di consapevolezza e prontezza ad affrontarle.
In tutti i predetti casi, affinché si dia luogo al risarcimento, bisogna comunque che sia oltrepassata la soglia della gravità dell’offesa così come stabilito dalle Sezione Unite con le famose sentenze gemelle di San Martino del 2008.
Con la stessa pronuncia che qui commentiamo, la Corte ha escluso che sia valido un consenso prestato verbalmente in tema di attività medico chirurgica. Ergo, il medico viene meno all’obbligo di fornire idonea ed esaustiva informazione al paziente – e pecca, così, per non aver acquisito un valido consenso – non solo quando omette del tutto di riferire al malato della natura della cura prospettata, dei rischi relativi e delle possibilità di successo, ma anche quando ne ottenga con modalità impropria il consenso. Sicché, non può ritenersi validamente prestato il consenso espresso oralmente dal paziente come già sancito anche dal precedente costituito dalla sentenza della Cassazione nr. 19.212 del 2015.
Neppure deve considerarsi idonea, peraltro, la sottoscrizione di moduli del tutto generici o prestampati pronti all’uso anche perché le modalità dell’informazione devono essere calibrate al livello culturale dell’interlocutore ed essere espresse con linguaggio comprensibile, e quindi rispettoso, del suo stato soggettivo e del grado di conoscenze specifiche di cui egli dispone.
Avv. Francesco Carraro
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