Il risarcimento ai prossimi congiunti di un macroleso

Un’interessantissima sentenza della Corte di Cassazione, sez. III, la n. 12.470 del 18.05.17, ha affrontato con piglio decisamente innovativo la problematica dei cosiddetti danni riflessi dei prossimi congiunti di soggetto macroleso.

In proposito, si è consolidata ormai da qualche anno – nella giurisprudenza di merito e di legittimità – la convinzione che meriti accoglienza, ove adeguatamente allegata e dimostrata, non solo la domanda di risarcimento del danno non patrimoniale dei prossimi congiunti di un soggetto deceduto, ma anche quella dei parenti stretti di una persona la quale abbia riportato lesioni gravissime seppur non esitate in un infausto e mortale destino.

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La responsabilità degli enti pubblici per danni causati da guard-rail

Per la giurisprudenza univoca, sia di merito che di legittimità, i danni cagionati da manufatti stradali implicano una responsabilità oggettiva in capo all’ente titolare del bene in base all’articolo 2051 del Codice civile: “Ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito”.

La citata norma vale anche  per l’ente proprietario e gestore di strade pubbliche per l’evento lesivo cagionato a terzi per non aver detto ente provveduto a rimuovere le anomalie presenti nel manto stradale; va, pertanto, considerata superata la giurisprudenza che –  in virtù della grande estensione del demanio stradale e della sua generalizzata utilizzazione –  escludeva la responsabilità ex art. 2051 c.c. dell’ente gestore del demanio stesso, confinandola all’ipotesi di danno prodottosi per la presenza di insidia e trabocchetto ai sensi dell’art. 2043 c.c.

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Quando i danni da infezione ospedaliera vanno risarciti

La responsabilità per le infezioni ospedaliere rientra nel novero di quelle “da rischio organizzativo” di gestione delle strutture sanitarie.

Il contratto di spedalità include, infatti, l’obbligazione di sicurezza e ben precisi doveri di protezione. Come noto, l’infezione nosocomiale è uno dei rischi tipici e prevedibili che possono verificarsi in ipotesi di permanenza prolungata dei pazienti nei reparti ospedalieri. In tali strutture, infatti, lo sviluppo dei processi infettivi è frequente proprio per la precaria condizione fisica dei malati ivi ospitati.

Per tale ragione, a livello aziendale, nelle strutture sanitarie devono essere istituiti, applicati, documentati e periodicamente verificati tutti gli interventi finalizzati alla prevenzione delle infezioni ospedaliere. Come ribadito, del resto, da molte circolari Ministeriali (n. 52/1985 e n. 8/1988) e da diversi Piani Sanitari Nazionali.

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Danni mortali, intermittenti e terminali: i criteri delle tabelle milanesi 2018

Tentiamo un primo commento orientativo sulla relazione introduttiva alle tabelle milanesi, così come rinnovate nella edizione licenziata il 14 marzo 2018 da parte dell’Osservatorio sulla Giustizia del Tribunale di Milano.

Aldilà degli aggiornamenti dei valori di liquidazione del danno non patrimoniale alla persona (che sono stati effettuati tenendo conto degli indici Istat dal 1 gennaio 2014 al 31 dicembre 2017) la parte più interessante del lavoro in commento concerne le seguenti categorie di pregiudizi: il danno non patrimoniale da perdita o da lesione del rapporto parentale, il danno cosiddetto ‘intermittente’ e  il danno cosiddetto ‘terminale’.

Per quanto riguarda il danno non patrimoniale da perdita del rapporto parentale,  che si verifica evidentemente (a detrimento dei prossimi congiunti della vittima primaria) in tutte le circostanze in cui accade un sinistro mortale, l’innovazione contenuta nelle tabelle  è certamente penalizzante per i danneggiati. È vero, da un lato, che vengono mantenute le modalità di computo e di monetizzazione di tale tipologia di danno secondo il consueto e arcinoto metodo della ‘forchetta’. Tuttavia, quest’ultima (la forbice di valori ricompresi in un delta tra due soglie) non può più essere ‘letta’ e applicata come accadeva in precedenza. La relazione introduttiva, infatti, specifica a chiare lettere che non esiste più un minimo garantito da liquidare in ogni caso e aggiunge un altro dettaglio inequivocabile: i valori della prima delle due colonne in cui si concretava la forbice (tradizionalmente intesi come un minimum) d’ora in poi dovranno considerarsi, invece, alla stregua di valori medi. Trattasi di una autentica rivoluzione ‘bianca’ quasi silente e apparentemente innocua perché giocata sul piano lessicale di una raccomandazione extra-legislativa e non su quello giuridico del diritto positivo scaturente dai lavori parlamentari. Essa comporterà vantaggi esponenziali per le compagnie di assicurazione. Queste ultime potranno – in occasione di sinistri gravissimi quali sono gli eventi mortali – prendere a riferimento i valori un tempo considerati minimi come se si trattasse, invece, di valori medi. Il vantaggio per il portafoglio delle compagnie del ramo è talmente evidente che pare un insulto all’intelligenza pesino la tentazione di commentarlo.

Ma le tabelle milanesi 2018 contengono anche qualche novità positiva. Per quanto riguarda il danno non patrimoniale da lesione del rapporto parentale, infatti,  la ‘riforma’ può essere salutata con favore. L’Osservatorio riconosce, alla buon’ora, un dato di fatto che, a molti osservatori avveduti, pareva già in precedenza auto-evidente. E cioè che la sofferenza patita dal prossimo congiunto di un macro-leso non è necessariamente inferiore (e meno degna di un equo ristoro) rispetto a quella patita dal prossimo congiunto di un morto. Anzi, spesso è vero il contrario. Il tempo, ‘medico dell’anima’, è solito lenire il trauma patito da chi ha subito un lutto in famiglia mentre la quotidiana coabitazione e coesistenza con una vittima primaria (gravemente menomata nelle sue funzioni vitali) si declina in  una autentica via crucis di tormenti peggiori, non di rado,  rispetto a quelli sperimentati  dai parenti del caro estinto.  Proprio in applicazione di quanto testè affermato, le tabelle milanesi specificano che ai prossimi congiunti di un macro-leso potrà essere riconosciuto un  risarcimento il cui massimo è pari a quello contemplato dalle tabelle stesse a favore dei prossimi congiunti di un soggetto deceduto. Stop, quindi, a quei risarcimenti simbolici –  o ‘equitativi’ secondo l’ipocrita vulgata corrente –  che invece, ad oggi, penalizzavano sistematicamente i familiari di colui che fosse sopravvissuto a un incidente, o a un infortunio sul lavoro o a un caso di malpractice medica con considerevoli lesioni.

Veniamo ora al danno ‘intermittente’: esso sussiste ogniqualvolta chi abbia riportato un danno biologico permanente –  consolidato con postumi invalidanti ‘cristallizzati’ in una percentuale dal medico-legale incaricato –  muore (per cause non riconducibili al sinistro) prima di quanto ci si potrebbe attendere rispetto alla durata media della vita umana. In questi casi,  sia in dottrina che in giurisprudenza, c’è sempre stato consenso unanime sul fatto che il danno non potrà essere liquidato nella stessa misura spettante ai casi ordinari di sopravvivenza in vita della vittima. La ragione è intuitiva. Le tabelle milanesi sono concepite proprio in modo da tener conto (nella individuazione del valore in denaro di ogni singola percentuale di invalidità) della speranza di vita media connessa all’età del soggetto leso. Se poi interviene la morte del danneggiato per cause diverse dal sinistro, necessariamente il danno biologico permanente dovrà essere ridotto. In questo senso, la versione 2018 delle tabelle ci aiuta nel calcolo prevedendo una serie di criteri consistenti nell’attribuzione di un valore fisso per ogni anno di sopravvivenza con la lesione consolidata. Per esempio, un danno pari al 100% di invalidità vale il primo anno € 52.432, il secondo anno € 41.755, il terzo anno € 26.216. Poi,  a partire al terzo anno, € 26.216 per ogni anno successivo di permanenza in vita, fino alla morte ‘prematura’.

Veniamo, per finire, al danno ‘terminale’. Con i criteri previsti in tabella, si intendono tutelare tutte quelle fattispecie in cui una persona abbia assistito al graduale assottigliarsi delle proprie speranze di vita nella lucida consapevolezza dell’esito fatale della propria sventura. È stato convenzionalmente individuato un numero massimo di giorni (cento), decorsi i quali non si potrà più parlare di danno terminale, ma si dovrà tornare a impiegare il valore medio (per giorno di invalidità) previsto dalle tabelle stesse per il danno biologico temporaneo (circa 98 euro). Ci vuole, comunque e sempre, il requisito della coscienza, cioè la comprovata percezione, da parte della vittima, della fine imminente. Il criterio prescelto, dagli autori delle tabelle meneghine, è quello della intensità decrescente con metodo tabellare. L’Osservatorio ha ritenuto (anche in base all’esperienza medico-legale maturata sul campo) che il danno tenda a decrescere con il passare del tempo. Esso, cioè, è massimamente intenso quando la morte interviene a poche ore dall’evento mentre tende gradualmente a declinare, nella sua intensità, con il decorso dei giorni; sia per l’effetto lenitivo di un processo di adattamento sia perché subentra (in genere), nella vittima, la speranza che la situazione possa evolvere in una imprevista, ma auspicata ‘salvezza’.  Per i primi tre giorni, le tabelle  riconoscono un importo fino a € 30.000. Per ogni giorno successivo al terzo (quindi dal quarto in poi) si prevede, invece, un valore giornaliero di € 1.000 al giorno decrescenti, che diventeranno 991 il quinto giorno,  981 il sesto e via così fino ad arrivare al valore di € 98 del centesimo e ultimo giorno.

Avv. Francesco Carraro

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