Il risarcimento del danno patrimoniale spetta anche ai disoccupati

Quando si tratta di quantificare in modo adeguato il danno patito dalla vittima di un incidente stradale, di un infortunio sul lavoro, di un caso di responsabilità medica o di qualsiasi altro atto illecito, uno dei problemi di più difficile soluzione è quello del danno patrimoniale.

In particolare, spesso vengono ingiustamente sottovalutate le conseguenze dannose che non si riflettono direttamente sul fisico o sulla psiche del soggetto infortunato, ma sulla sua capacità di produrre reddito.

Per esempio, una persona che non lavora ancora, o che non ha mai lavorato, ha diritto di ottenere il risarcimento del danno patrimoniale da “lucro cessante”, cioè da perdita di reddito?

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Come si calcola il danno patrimoniale da lucro cessante

Con pronuncia depositata il 4 febbraio 2020, numero 2463, la Corte di Cassazione è tornata sul tema del danno patrimoniale da lucro cessante conseguente alla lesione alla capacità lavorativa specifica del danneggiato.

Ci troviamo davanti a tale questione quando la vittima del sinistro non ha ricevuto solo un danno biologico permanente, ma ha riportato anche delle conseguenze in grado di ridurre (in tutto o in parte) la sua capacità di svolgere l’attività lavorativa cui il danneggiato si dedicava al momento dell’incidente.

Già in passato, ci si era posti il problema dei soggetti privi di reddito perché disoccupati o perché in cerca di un lavoro o perché studenti o casalinghe. In tutti questi casi, il criterio cui si faceva riferimento (onde concedere il ristoro del danno da luco cessante a favore di una persona che, di fatto, non lavorava) era quello del triplo della pensione sociale.

Detto parametro era già previsto dalla legge 990 del 1969 e, successivamente, fu recepito anche dal D.lgs. 209/2005 (Nuovo Codice delle Assicurazioni).

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